La spesa per chi non può uscire davvero

La foto qui sopra è stata scattata prima dell’inizio del servizio di consegna di spesa e farmaci alle persone più fragili: anziani, infermi, malati, tutti coloro che non possono uscire di casa nemmeno per comprare i beni di prima necessità, durante l’emergenza COVID-19. Ci siamo tutti, pronti a partire: oltre alla Croce Rossa, anche la Protezione Civile, la Misericordia, il Gruppo di Volontari di Protezione Civile La Fenice 2010 (grazie a Luciano Sciurba per la foto).
La foto qui sotto, invece, se la sono scattata Carlo e Ilenia a fine servizio. Ecco il racconto dell’esperienza.
“Ė stato un pomeriggio faticoso. Non sapevo se postare questa foto ma ho deciso di farlo, alla fine. Non è bella, non è spettacolare, non ha una bella luce, ma racconta qualcosa. Esattamente come le giornate che stiamo vivendo.
Non è una foto rassicurante: due tizi in uniforme della Croce Rossa, o qualsiasi uniforme, con guanti e mascherine non sono mai rassicuranti. Ma è la realtà che ci tocca vivere oggi, e non c’è nulla da tranquillizzare, bisogna stare all’erta e concentrati. Bisogna fare sacrifici.
Una foto che rappresenta esattamente quello che deve rappresentare: un’anonima scala di condominio come ce ne sono a migliaia in Italia, dietro le porte dei pianerottoli sono costretti milioni di italiani, famiglie, disoccupati, malati, infermi, anziani. Il lavoro di migliaia di volontari tutti i giorni cerca di portare un po’ di sollievo e qui ce la caviamo pure bene. Penso ai colleghi al nord e mi viene su per la gola il magone e un senso di rispetto infinito. Non c’è solo gente che cucina e fa smartworking, dietro quelle porte dell’anonimo condominio ci sono enormi solitudini, immense preoccupazioni, nervi a fior di pelle. C’é bisogno di sentire qualcuno che ti chiede “Come va? Sto qui per te.”
Abbiamo finito il turno portando la spesa ad una signora al terzo piano senza ascensore, comprese tre casse d’acqua. Ci ha voluto regalare 10 euro per ringraziarci, sono diventati una donazione al Comitato. Le facce stanche dietro le mascherine sorridono ma non troppo. Fare le scale con quell’affare davanti alla bocca e portando pesi non è facile. Ok, io devo buttare giù ancora qualche chilo, ci metto del mio, ma quel filtro davanti al respiro non aiuta. Eppure è stato un solo pomeriggio. Ho pensato a chi deve lavorare tutti i giorni con quella mascherina in faccia, a chi sta negli ospedali e ad un passo dal virus.
Ho ancora l’odore nel naso. Loro avranno la nausea.
È stato un pomeriggio faticoso ma mi ha lasciato tanti momenti nel cuore. Mentre giravamo tra pianerottoli, supermercati e farmacie, a fare le spese altrui, abbiamo ricevuto i saluti dei carabinieri, i ringraziamenti dei farmacisti, i complimenti delle signore davanti al frigo del latte. C’è anche chi ti ferma per chiederti una mascherina, chi ti saluta dalla macchina, chi ti offre cioccolatini.
E io mi sentivo in colpa. Qualche servizio e mi becco i complimenti, i saluti e i ringraziamenti. Ma ho voluto scriverlo qui perché ovviamente non sono per me, ma per ciò che rappresenta quell’uniforme, che ha lo strano potere di farti sentire una parte importante del tutto.
In macchina, mentre guido l’auto di servizio a passo d’uomo in un vicolo stretto del centro storico, incrocio lo sguardo di un bimbo, solo, avrà l’età di mio figlio, fa rimbalzare una palla sotto casa. Al nostro passaggio si mette la palla sotto il braccio e si appoggia con la schiena contro il muro. Ci guarda preoccupati. Gli faccio l’occhiolino. Quello sorride e alza lo sguardo verso la madre che lo sorveglia dal balcone, poi mi riguarda e mi segue con gli occhi fino a quando non scompaio dietro la curva. Lo guardo a mia volta dallo specchietto.
È stato un pomeriggio faticoso ma lo rifarei.”
Carlo, Volontario del Comitato dei Comuni dell’Appia